L'inferno dei dormitori

Lavoro da quasi un anno in alcuni dormitori. Sarà imperdonabile il titolo ma il dormitorio resta un trauma, condizione difficile, faticosa, destabilizzante, imbastita su violenza, furti e in generale una potente e inevitabile spersonalizzazione.
A volte parlando con gli ospiti, alcuni si fanno scrupoli a definire negativamente la situazione, quasi a temere di subirne le conseguenze. Io invece incoraggio la critica, perché purtroppo c'è chi si fossilizza e considera questo tipo di aiuto una situazione di arrivo, invece che di partenza. Lo so, è molto meglio avere un tetto, un letto e insomma non rischiare freddo e aggressioni per strada, sulla filovia che percorre la notte o sui treni che sonnecchiano negli scali. Ciò non toglie che il dormitorio dovrebbe restare una soluzione temporanea. Non lo è, mancando politiche sulla casa, sull'inclusione sociale, su reddito e occupazione. La carenza di interventi sociali crea così cronicità, assistenzialismo, al limite di un patologico opportunismo di chi eroga e di chi riceve. Sofferenti mentali parcheggiati, stranieri in cerca di comunicazione di ospitalità per il permesso di soggiorno, un esercito di persone affette da dipendenze e, soprattutto, chi ha perso tutto per carcere o immiserimento, scontano la pena di trovare un aiuto esclusivamente d'emergenza. Progetti e personale conseguente latitano, ma si sa, il sociale è una Cenerentola, campo principe per tagli finanziari.
La mia stanchezza non nasce tanto dalla fatica del picco di lavoro invernale, quanto dalla frustrazione derivante dal non avere le spalle coperte, vale a dire la mancanza di qualsiasi tipo di prevenzione e, a valle, quasi un marchiare a vita persone col fuoco dell'emarginazione.

No Canal!

La politica è spesso un colossale apparato di tortura, come quando stupra l'ambiente e la popolazione che lo vive. Criminalizzare chi, ad esempio, è contro il Tav, è ingiuriare chi vede la dissennata, collusa volontà di distruggere, in nome di una gigantesca menzogna, ma soprattutto del denaro, degli amici degli amici. Trenno era uno dei tanti paesi che circondavano Milano. Nella mia infanzia proletaria era la villeggiatura, sia il parco che l'abitato. In verità mi pareva strano lo si dicesse "parco", il verde non mancava intorno. Ora invece sembra che tutto quel bellissimo verde possa finire in un unico fiume di cemento fino a Pero.
Con l'Expo ci si è ingegnati a far percorrere il parco da delle fantomatiche vie d'acqua. Stupefacente, perché le rogge del parco sono state messe in secca o ricoperte da decenni e anche questo ammorbato progetto non prevede navigabilità, piuttosto, ruspe e cemento. Ma, per la prima volta, Expo e il commissario Sala vengono bloccati e messi in discussione. Il merito è di un valoroso comitato di cittadini, No Canal, che in due mesi ha organizzato iniziative, mani, presidi all'alba e raccolto firme, a migliaia come i "like" su fb e ha ottenuto un temporaneo stop ai lavori, che termina proprio oggi.
La cosa più singolare è che il progetto (rifatto più volte) tangentando zone da bonificare, exporterebbe veleni in un'area molto vasta, da Baggio al Gallaratese. Vorrei che il comune non riducesse l'arancione alle reti di recinzione cantieristiche. Altrimenti,  ancora una volta, ribellarsi è giusto.