L'inferno dei dormitori

Lavoro da quasi un anno in alcuni dormitori. Sarà imperdonabile il titolo ma il dormitorio resta un trauma, condizione difficile, faticosa, destabilizzante, imbastita su violenza, furti e in generale una potente e inevitabile spersonalizzazione.
A volte parlando con gli ospiti, alcuni si fanno scrupoli a definire negativamente la situazione, quasi a temere di subirne le conseguenze. Io invece incoraggio la critica, perché purtroppo c'è chi si fossilizza e considera questo tipo di aiuto una situazione di arrivo, invece che di partenza. Lo so, è molto meglio avere un tetto, un letto e insomma non rischiare freddo e aggressioni per strada, sulla filovia che percorre la notte o sui treni che sonnecchiano negli scali. Ciò non toglie che il dormitorio dovrebbe restare una soluzione temporanea. Non lo è, mancando politiche sulla casa, sull'inclusione sociale, su reddito e occupazione. La carenza di interventi sociali crea così cronicità, assistenzialismo, al limite di un patologico opportunismo di chi eroga e di chi riceve. Sofferenti mentali parcheggiati, stranieri in cerca di comunicazione di ospitalità per il permesso di soggiorno, un esercito di persone affette da dipendenze e, soprattutto, chi ha perso tutto per carcere o immiserimento, scontano la pena di trovare un aiuto esclusivamente d'emergenza. Progetti e personale conseguente latitano, ma si sa, il sociale è una Cenerentola, campo principe per tagli finanziari.
La mia stanchezza non nasce tanto dalla fatica del picco di lavoro invernale, quanto dalla frustrazione derivante dal non avere le spalle coperte, vale a dire la mancanza di qualsiasi tipo di prevenzione e, a valle, quasi un marchiare a vita persone col fuoco dell'emarginazione.

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