morire di Milano

L'uomo senza dimora trovato morto pochi giorni fa in zona Castello realmente non era noto ai servizi comunali. Gli era stato proposto di rivolgervisi, ma Salvatore preferiva bere, bere e ancora bere e sapeva che le regole di ogni dormitorio bandiscono l'alcool, perciò si limitava a mangiare alla mensa dei frati di viale Piave. Do quindi ragione a Majorino e non a "Il Giornale", capace di sciacallare un fatto tragico senza pietà.
Molti atti autodistruttivi vengono attuati per la perdita del lavoro, per condizioni di vita da incubo, seppellendo troppi sogni e, alla fine, se stessi.
La mortalità a Milano è sempre più di casa: colpi di mitra dai cowboy della 'ndrangheta, bambini con affezioni respiratorie, strade letali, immersioni delinquenziali per miseria; lo spread della vita crolla e non solo il Comune ha un deficit spaventoso. Si dovrà ricorrere a misure drastiche di tagli e prelievi, ma stavolta non ho nemmeno la forza di avere i brividi. Sono stanco. Come milanese, come operatore sociale, come uomo. Quando ero ragazzo potevo incrociare Alberto Cova allenarsi a San Siro, ora invece, frotte di patetici corsettari domenicali, persino veri e propri mostri, tipo Santanché e Sallusti (che non è, tengo a precisare, ritratto nella foto sopra). I Lanzichenecchi in tribunale, beffardi correi sotto i visi di Falcone e Borsellino, dimostrazione del traguardo raggiunto di capitale immorale, in devastazione e saccheggio ad opera del milanese più ricco. Insopportabile, impresentabile, impunita milanesità.
Sto pensando di andarmene. Non so quando scapperò. Importerà a pochi, ovvio. Ma mi sta importando sempre meno di quella che, davvero, in sincerità, fatico a non definire "merdopoli". Non vorrei proprio morire qui. Anche se è diventato facile, troppo facile...

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